sabato 11 aprile 2009

Prova di srittura di martedì 7 aprile

La scalata

Era già trascorsa la mattina da che avevo iniziato a salire, e il pomeriggio era imminente, la stanchezza era alle porte della debolezza.
Scalare una montagna, anche se di difficoltà media non è facile. Avendo trovato un appiglio sicuro, e riprendevo fiato riflettendo sul da farsi. La gamba d’appoggio tremava nello sforzo: E mi venne da ridere, pensando al verso di Dante, quando s’inerpicava sulle montagne infernali, “…si che il piè fermo sempre era l’ più basso…”. Intanto mi guardavo intorno per scorgere dove era meglio aggrapparsi per salire con più sicurezza. Udivo le folate della brezza fischiare contro gli speroni di roccia, e agghiacciarmi il sudore della fronte. Non si udiva altro rumore, né altro che non fosse di solitudine e di vento. Guardai con attenzione, ciò che mi sovrastava. In un lampo mi resi conto che non mancava molto per raggiungere una piccola balconata, ove mi sarei potuto rifocillare, prima di procedere per lo sforzo finale.
Facendomi forza, ripresi la salita, ma mi accorsi che il peso dello zaino non mi avrebbe consentito di poter andare su ancora per tanto, la zavorra sulla schiena mi era oramai insopportabile.
Il respiro affannato mi opprimeva il petto fino al punto di ferirmi i polmoni, con la loro imprescindibile necessità. Facendomi violenza superai alcuni appigli, e appoggiando finalmente il gomito alla balaustrata, guadagnai l’approdo sicuro.
Vinto quel pericolo, subito una nuova ansia mi agitò, quella di essere colto dal buio, prima di aver portato a termine il mio intento. Questa nuova angoscia mi fece ragionare, vedevo la cima della vetta, ancora lontana, pensai che con quel peso alla schiena non sarei riuscito a raggiungerla prima del buio. Così presi una decisione rapida: slacciai le fibbie e i cordoni dello zaino e cominciai a liberarmi del peso superfluo.
La prima cosa che gettai nel vuoto, furono le liti in famiglia, poi mi svincolai del dispiacere della morte della nonna, scaraventai nel baratro la separazione dei miei genitori, e giù anche la lunga malattia di mia madre, e in fine mi sciolsi dell’involto più voluminoso e pesante, i mille e mille disgusti della vita, scaricai quel fardello, facendolo ruzzolare giù per il dirupo. Cercai in fondo al sacco se vi fosse rimasto qualche altra cosa da buttare, vi era rimasto solo un picco involto di tela grezza, lo svolsi per conoscerne il contenuto: erano alcuni rari momenti di felicità, di cui non ricordavo più nemmeno l’esistenza.
Richiusi lo zaino, lo buttai sulle spalle riprendendo a salire, leggero e spensierato.



Cristiano 11-04-2009

Nessun commento: