giovedì 1 gennaio 2015

Il conte zio

Il Conte Zio (parente di Don Rodrigo) impersona il politico di nessun talento, che ha però un'abilità nel far valere la sua autorità a forza di interiezioni, di soffi e di parole oscure. Appartiene al Consiglio segreto, all'interno del quale ha "un certo credito, ma, nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c' era il suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacer significativo, un restare a mezzo, uno stringer d'occhi che esprimeva: non parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro". Sarà l'artefice del trasferimento di Fra Cristoforo, che si stava interessando troppo alla vicenda di Renzo e Lucia. Il Conte Zio è uno di quegli uomini che riescono a farsi una strada nella vita senz'altra virtù se non quella di riuscire a darsi importanza. Sapeva vendere il suo credito, dice Manzoni, che lo paragona a una di quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con scritte parole arabe e dentro le quali non c'è nulla, ma servono a mantenere il credito alla bottega. Come occorre una certa perspicacia e una certa levatura per capire che in quella scatola non c'è nulla, mentre la maggioranza crede che dietro quelle parole arabe ci sia un misterioso potere, così non è facile scoprire quello c'è veramente nella mente vuota del Conte Zio. Lo conoscono bene invece i suoi parenti più prossimi e specialmente il conte Attilio, ma gli altri si lasciano facilmente ingannare dalla sua aria piena d'importanza. Il Conte Zio dimostra di saper bene impiegare l'autorità che possiede nel ricevimento a cui invita Fra Cristoforo. I commensali sono stati tutti scelti da lui accuratamente: i più nobili per dare un'idea delle proprie aderenze ed i più umili per significare come tanta gente fosse devota e sottomessa al padrone di casa. In generale, quindi, il Conte Zio rappresenta la classe dei potenti e corrotti. Appare sempre molto risoluto e si comporta in modo serio, paternalistico e consapevole del proprio potere.

Perpetua

Perpetua è la serva di Don Abbondio. È una donna “affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l’occasione”. Viene descritta così all'inizio del romanzo: "aveva passato l'età sinodale dei 40, rimanendo nubile, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche". Vive di luce riflessa del curato, costituendone un significativo antagonismo, sebbene non sia meno affetta del padrone da “fantasticaggini” sempre più frequenti nella sua quasi isteria di zitella. Nonostante sia una donna di popolo, presenta sprazzi di saggezza e un seppur grossolano coraggio. Non sa mantenere i segreti ed ha un animo piuttosto semplice e "rozzo". Manzoni non risparmia neanche lei dal suo umorismo. Purtroppo rimarrà vittima della peste.